Nel 2005 Harold Pinter ha ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura e in tale occasione Horace Engdahl, Presidente dell’Accademia di Svezia, lo ha definito un artista “che nelle sue opere ha svelato il precipizio nascosto sotto il chiacchiericcio quotidiano e ha forzato l’ingresso nelle chiuse stanze dell’oppressione”. Quindi tutto proviene direttamente dal suo vissuto, dalle sue curiosità, dalle ricerche linguistiche, senza filtri né falsi infingimenti.
Un’onestà letteraria senza mezzi termini e un’assoluta assenza di retorica. Una parola, una persona, un’immagine o un episodio, per lui, si trasformano in una sorta di ossessione finché non riesce a inserirli in un progetto, una specie di processo catartico. Pinter, come tutti noi, coltiva le sue fantasie e dà loro vita, solo che lui, da queste elaborazioni, crea delle opere.
Pinter è anche colui che ha cambiato le convenzioni teatrali, colui che ha tracciato un solco, un confine irreversibile nel teatro contemporaneo. Gli attori che affrontano i suoi testi lo sanno bene.
Una volta i cosiddetti “buchi di scena” erano l’incubo degli attori, e nelle Accademie o scuole di arte drammatica di tutto il mondo venivano sempre definiti quasi come un sacrilegio.
Lui con le sue pause, brevi o lunghe, e i suoi “silenzi pieni” ha riempito quei buchi di scena con un’intensità eloquente trasformandoli in battute concrete a volte più espressive del parlato: il significato emerge, quasi sempre, dalla tensione contenuta in questo gioco di forze. Ha cambiato il ritmo o meglio la musica del palcoscenico, e diciamo musica perché Pinter oltre a essere un drammaturgo, è soprattutto un “compositore”.
Le brevi battute che caratterizzano i suoi testi contengono una serie infinita di significati, e riuscire ad affrontarle, a volte, può essere molto complesso. I dialoghi sono il frutto dell’elaborazione di un pensiero, di un’azione, di una situazione che vengono espressi con intenzioni, sottotesti, e, come già detto, con gli insostituibili silenzi e le pause.
Un linguaggio assolutamente realistico, all’interno di situazioni spesso surreali, riesce a esprimere in modo autentico i rapporti tra gli individui: dialoghi diretti e indiretti, conversazioni interrotte e poi riprese, frasi apparentemente banali nascondono, rancori, gelosie, minacce, che in realtà sono palesi; dissimulazioni mascherano istinti che non possono o non devono essere espressi. Il teatro di Pinter è anche definito “teatro della minaccia” una minaccia intima e allo stesso tempo esplicita.
L’amante costituisce, insieme a Vecchi tempi e Tradimenti, una trilogia sulle menzogne dell’amore e una spietata critica agli stilemi borghesi dei primi anni ’60, quando ancora non fumava in Europa e in America il rogo del ’68 libertario e libertino. L’amante è il più elegante “studio” che Pinter abbia dedicato alla psicologia della vita coniugale e al tempo stesso una vertiginosa sciarada sulla natura ambigua ed elusiva della realtà.