Recensione dello spettacolo L’ Arma a cura di Valerio Azzopardi.
La scena, dapprima in ombra, si apre su una scenografia minimale ma elegante composta da uno sfondo di nuvole e una piattaforma di legno semovente (illuminati entrambi con un piacevole uso delle luci), rappresentante una baita sperduta su una montagna e luogo delle azioni dei tre personaggi:
– Un vecchio (Giorgio Colangeli), che ha lasciato la sua famiglia (la moglie che lo tradiva e un figlio piccolo) e la società intera, per rifugiarsi nella baita in un ritiro che è per lui simbolo di una guerra contro la società stessa. Nella sua solitaria battaglia ha portato con sé una bambina (concepita da una barbona e abbandonata dalla stessa nell’atto del parto).
– La figlia adottiva (interpretata da una bravissima Mariachiara Di Mitri, essa stessa quindicenne) che crescerà nella natura selvaggia della montagna con l’unica compagnia dell’egotico patrigno, costantemente curiosa del mondo esterno che le è proibito e descritto come malvagio.
– E il figlio legittimo del vecchio (Andrea Bosca) che, abbandonato nell’infanzia e ormai più che ventenne, parte alla ricerca di un padre che non l’ha mai voluto perché seppur giovane, già troppo contaminato dalla società che egli aborriva.
Ogni personaggio agirà secondo la propria idea di moralmente “giusto”: una giustizia soggettiva, che lo renderà infine confuso e incerto, e che lascerà allo spettatore l’arduo compito di dividere i personaggi in positivi e negativi, scegliendo se è mai possibile, un’unica giustizia morale alla quale sottoporli.
Due i tempi narrativi principali: il primo, in cui troviamo il vecchio, ancora in salute che racconta ai propri diari e registratori (in realtà al pubblico) la propria vita, il proprio credo, e le proprie scelte, rappresentate da una vita d’isolamento insieme alla bambina; e il secondo in cui il figlio giunto infine sulla baita dopo anni di ricerche, non troverà altro che la bambina, ormai giovane donna e le registrazioni di un padre ormai morto di vecchiaia.
Ma i due tempi principali (assieme ad altri intermedi) si mischiano continuamente, con un montaggio che ricorda quello cinematografico: la narrazione infatti si muove attraverso l’uso di “primi piani”, con i personaggi costantemente in scena, ma a cui solo uno per volta è lasciato il ruolo di protagonista della stessa, relegando gli altri due al ruolo di “fantasmi” che la infestano senza esserne consapevoli.
Anche quando il tempo narrativo è lo stesso (come nel dialogo tra i due giovani) abbiamo due distinti primi piani che trasformano il dialogo in due monologhi: le risposte e le domande della ragazza, che sembra parlare al vento, cui si agganciano poco dopo le domande e le risposte del ragazzo, quando il primo piano è cambiato e la ragazza si è “spenta” sulla scena.
Questa tecnica, dapprima spiazzante e pesante per lo spettatore, avrà degli sviluppi artistici rilevanti, sia nel contenuto dei discorsi, sia nella loro rappresentazione figurativa (con lode particolare al dialogo tra il patrigno e la figlia formato dall’intrecciarsi di due monologhi svoltisi in tempi differenti).
Fortunatamente, la relativa semplicità della trama permette allo spettatore di comprendere il tutto senza troppa fatica, anche se la narrazione frammentata ha il notevole effetto (e non lo trovo un male) di ritardare alcune reazioni cognitive e morali (da parte dello spettatore) che potrebbero nascere se l’azione fosse cronologicamente intatta.
Ottimi tutti e tre gli attori: calati perfettamente nella parte e con un’ottima dizione e controllo della voce, con menzione d’onore all’interpretazione del “vecchio” Giorgio Colangeli, capace di suscitare nel pubblico (o almeno in me) vera indignazione nella sua adamantina convinzione di sapere sempre cosa è meglio per gli altri, oltre che per lui.
Ma se si è certi di essere nel giusto, è sbagliato schierarsi contro il giusto di un’intera società, o bisognerebbe sentirsi più colpevoli nel non agire?
L’Arma di Duccio Camerini è un’opera strana che fa nascere questa ed altre domande, e “fortunatamente” non dà risposte; è una di quelle opere che che solleva più interrogativi di quanti appaga, stimolando la riflessione.
Uno spettacolo che in definitiva lascia la voglia di rivederlo; qualità, per un’opera, rara e sempre ben accetta.
L’ Arma è in scena al Teatro Vascello fino al 12 Maggio 2013.